ser- '
».. • t / A v* •,
f :
Prof. G. SANARELLI
[DO BACOEI
uomo politico e medico sociole
Estratto dal Policlinico, Voi . XXIII - if., 1916
ROMA
Amministrazione del (Giornale “ Il Policlinico
N. .14 - Via Sistina • N. 14
GUIDO BACCELLI
per il prof. G. SANARSELI.
I.
La sua mentalità romana.
Quanti ebbero a scrivere e a parlare intorno all’opera di Guido Bac¬
celli, come ministro, come deputato e come cittadino, rilevarono ed ammi-
rono costantemente in lui la romanità del sentimento e dell intelletto ra ;
dote naturale da non confondersi colla romanità di cultura e di dottrina, che
può essere posseduta in grado eminente anche da studiosi di ogni paese.
Questa unanimità di giudizio intorno alla caratteristica della sua men¬
talità, è già di per sè un fatto degno di studio, perchè non credo che siasi
verificato mai nulla di simile nei giudizi storici dati intorno ad altri uomini
politici, più o meno celebri e dotti.
Ed io reputo suggestivo il fatto che per poter classificare scientificamente
il valore eccezionale della posizione di Guido Baccelli nella vita pubblica e
nazionale, si debba prender le mosse dal giudizio sintetico popolare romano,
diventato poscia italiano, che appellò Baccelli il divo; che lo divinizzò,
come un tempo faceva degli imperatori ; giudizio che alla notizia della sua
morte riapparve spontaneo in tutti i giornali italiani del Nord e del Sud
con queste parole: ffl scomparso il vero figlio di Roma , il più grande
cittadino di Roma.
Perchè la romanità di anima fu, davvero, il carattere mentale e quasi
specifico, dell’uomo politico che sedette per 38 anni dal 1875 al 1913 —
come Consigliere in Campidoglio, che rappresentò Roma in Parlamento per
40 anni — dal 1875 all’ultimo giorno della sua vita — e che fu per quattro
volte e per lunghi periodi, membro del Governo, come Ministro dell’Istru¬
zione prima e, da ultimo, come Ministro di Agricoltura, Industria e Com¬
mercio.
Guido Baccelli fu un uomo politico che sentì ed amò con fervore sin¬
cero il mondo latino, che sentì romanamente e che, perciò, poteva dire
più e meglio di ogni altro appartenente alle Nazioni neo-latine: latinus ,
latine loguor. Infatti latine non vuol dire soltanto parlare in lingua latina,
ma vuol dire, altresì, parlare latinamente, come lo intendevano Cicerone
e Quintiliano, pei quali, parlare latinamente, significava parlare con sempli¬
cità, limpidità ed eleganza. Egli possedette l’anima latina ed ebbe il latino
nel sangue; quindi, a differenza di quasi tutti i classicisti e cultori di lingua
e letteratura latina, di storia romana, di diritto romano, ecc. potè fare, con
2
piena naturalezza e spontaneità, in ogni atto della sua vita, quello che i
più grandi uomini politici latini e innamorati del classicismo, sognarono
spesso senza aver mai potuto liberarsi dagli impedimenti correlativi al loro
desiderio di mostrarsi romani.
Guido Baccelli fu, invece, romano senza sforzo alcuno, senza arcaismi,,
senza preparazione o posa, perchè era dotato dalla natura di un’anima la¬
tina: la struttura del suo periodo era latina; latina la scultoria concisione
della frase; il suo dire era quasi sempre chiuso, in modo elegante e spontaneo
dall’aforisma e dalla citazione classica. Questo cittadino di Boma aveva un
senso così profondo della romanità, per cui il suo modo di sentire e quindi
anche il suo tipo intellettuale, erano assolutamente romani; mentre coloro
che posseggono soltanto la romanità, della cultura, anche se molto più dotti
di lui in scienze romane, anche se italiani di nazionalità, possono essere e
restare incapaci di sentire romanamente, come lo sono, ad esempio, i classi¬
cisti e i romanisti tedeschi.
Anche l’uso frequente della nostra lingua madre, della lingua latina, non
costituiva per Guido Baccelli un semplice esercizio filologico od una osten¬
tazione di cultura classica, ma era l’organo e il mezzo per penetrare nello
spirito della romanità e per impossessarsi degli elementi sostanziali che fa¬
cevano la grandezza e la magnificenza di Roma.
Si può, infatti, sapere a memoria Virgilio e Orazio e scrivere distici latini
anche più perfetti di quelli che scriveva Guido Baccelli, senza aver nulla
di comune con l’anima politica romana, che Baccelli possedette nel modo
il più elevato.
Egli potè informare tutta la sua esistenza e inspirare la sua opera di
uomo politico al sentimento profondo della romanità, da lui sentita come
l’italianità più perfetta, più pura e più vera, in guisa da apparire al popolo
di Roma moderna e a quanti lo conobbero intimamente, come una ecce¬
zione psicologica, come un mirabile campione sopravvissuto della stirpe ro¬
mana del secolo di Augusto.
Non era forse la sola bizzarrìa artistica, quella che lo faceva rappresen¬
tare, sovente, nelle sembianze di un personaggio consolare coturnato e to¬
gato. Era certamente anche un omaggio reso alla sua origine e al suo pensiero.
Io credo che gli studiosi di antropo-psicologia potrebbero spiegare una così
eccezionale personalità, invocando le leggi del Mendel applicate agli incroci
fìsico-mentali umani.
Siamo, forse, di fronte a un caso di ritorno mendeliano transitorio, cioè
non ereditario, alla mentalità romana di razza originaria.
Infatti, secondo narrano i biografi di Guido Baccelli, il suo ceppo de¬
riva da antica, famiglia fiorentina, trasferitasi in Roma due secoli or sono.
Un Tommaso Baccelli fu già, nei settecento, Conservatore capitolino e Pa¬
trizio romano. Questo dato potrebbe servire a chi volesse iniziare lo studio
psicologico della singolarità bio-psichica di quest’uomo superiore.
Si tratta di un incrocio fra lo spirito fiorentino e lo spirito romano, cioè
fra le due forme spirituali più sature di romanità, ossia meno ibride, che pos¬
segga oggi l’Italia. E poiché lo spirito fiorentino puro è ormai immunizzato
da vari secoli, contro le malattie mentali barbariche o germaniste, cioè contro
le forme tipiche di deviazione intellettuale, che sono la tendenza filosofico-
3
sistematica, il moralismo proselitico ed egemonista, l’egoismo economico
dominatore di spazio e di materia, e queste malattie, indotte nella mentalità
italica dall’incrocio coi barbari, non sono mai penetrate nell’anima popolare
di Eoma, così è facile comprendere e spiegare come un innesto secolare romano
su di un ceppo fiorentino, abbia potuto produrre, nel 1830, quando nacque
Guido Baccelli, un esemplare di razza romana quasi pura, per un ritorno
mendeliano foss’anche transitorio, alla purezza fisico-mentale originaria.
In Guido Baccelli è rispuntato il tipo romano di volontà, di equità e
di onestà spirituale.
Ecco perchè io credo potersi affermare che il carattere della romanità
pura e spontanea, apparso nella mente politica di Guido Baccelli, costi¬
tuisca una rarità psicologica e morale degna di studio per i cultori della psi¬
cologia e dell’antropologia spirituale, i quali oggi, al lume del conflitto tra il
mondo morale germanico e il mondo morale latino, sentono il dovere di clas¬
sificare le specie attuali di volontà di dominio, più o meno ibride, cioè roma¬
no-barbariche, predominanti in Europa.
Volendo spremere l’analisi e la sintesi della mente di Guido Baccelli
cittadino, uomo politico e scienziato, si può dire che egli fu un perfetto de¬
mocratico di stile romano, cioè di una specie politica nettamente distinta
da quella dei democratici che prevalgono e dominano nei Parlamenti odierni,
la cui mentalità politica,
quando non sia influenzata troppo dall’elemento so¬
ciale germanista, è celtica, cioè anglo-francese.
Infatti per quanto Guido Baccelli sia stato una delle figure più rappre¬
sentative della così detta Sinistra storica ed abbia, più volte, specialmente
nel primo decennio della sua vita parlamentare, affermato di credere alla
necessità naturale e politica che vi fossero in Parlamento due soli grandi par¬
titi di stile o modello inglese, in realtà non risulta che egli sia stato mai pos¬
seduto da questa fede inglese, che sarebbe stata in contrasto colla sua menta¬
lità democratica romana.
È ben vero che egli fu nemico nato di quelle consorterie e clientele o
di quei raggruppamenti di interessi personali che fanno le maggioranze
pletoriche caratteristiche dei moderni Parlamenti; è altresì vero che egli ebbe
più volte a deplorare la confusione e la falsificazione indotta nella nostra edu¬
cazione politica da siffatti sistemi degenerati, di fronte a quelli d’origine
parlamentare inglese; ma Egli non comprese mai, cioè non sentì e non approvò
nella sua coscienza, la legittimità di contrappesi ed altalene di partiti che
Roma antica non conobbe, e che sono il frutto dell’incrocio fìsico e mentale
celtico romano e della varietà di temperamenti e caratteri fisiologici e men¬
tali prodotta da tale incrocio, nei diversi ambienti etnici e morali europei.
Guido Baccelli fu, ripeto, un perfetto democratico romano, e perciò
solo, superiore così alle esigenze di razza dei vari temperamenti politici mo¬
derni, come del moderno regionalismo.
L’ideale politico più sentito e più radicato, nel suo grande cuore, fu un
ideale di rinascenza delle virtù democratiche romane, cioè delle virtù di animo
e d’intelletto, fondate sul culto della giustizia, ministra di pace e di concordia
e cardine primo di ogni virtù individuale e pubblica.
È sotto questo angolo visuale psicologico che va esaminata, ex novo ,
tutta la mentalità di Guido Baccelli.
4
Per poter giudicare degnamente i palpiti del suo grande cuore civico,
bisogna anzitutto mettersi in grado di sentire al pari di lui, o poco meno, il
pathos della distanza fra la sua anima squisitamente romana e il gregge delle
anime neo-latine o neo-germaniche, più o meno germanista o germanofile,
celtofìle, anglofile e francofile, che sembra tuttora prevalere numericamente
dentro l’itala gente moderna dalle molte vite.
Anche per apprezzare soltanto, ma degnamente, quanto egli fece e
pensò di fare per la Scuola popolare , di cui diremo fra poco, bisogna porsi in
grado di capire quanto fosse puro, cioè depurato da ogni elemento celtico e
germanico, il suo modo etnico di concepire la libertà romana moderna e,
quindi, saper condividere i] suo disprezzo fondamentale per tutti quei modi
di irretire la mente del prossimo, di ridurre l’uomo a mattone delVedificio sta¬
tale , di convogliare egoismo e volontà di disciplina e di dominazione, nonché
di divinizzare i più bassi istinti di razza, che sono diventati, oggi, la forza spe¬
cifica delle razze barbariche, ossia delle Nazioni moderne, in cui quelle razze,
più o meno latinizzate o addottrinate, prevalgono numericamente, determi
nando l’orientazione d’ogni pedagogia scolastica, religiosa, filosofica e politica.
Questo grande romano moderno sognò, nientemeno, che di liberare le
Scuole del popolo italiano da tutte le deformità morali della filosofìa scola¬
stica, conseguenze dirette della mentalità barbarica cristianizzata, inne¬
stata su quella giudaico-romana dei primi secoli del cristianesimo. Egli con¬
cepì la funzione mondiale, direi quasi cattolica, della Scuola popolare, con¬
siderata come sezione preparatoria dell’Esercito, riguardando questo, a sua
volta, come sezione della potenza militare di un popolo combattente, non
per soggiogare o dominare gli altri, ma per illuminarli nelle vie della giustizia.
Giammai, prima di lui, dal medio evo in poi, un educatore e modera¬
tore degli studi, salì a così alta potenza di concezione del fine massimo, su¬
premo della Scuola. Si è appunto per le qualità rarissime del suo carattere
spirituale e politico che Guido Baccelli, a differenza di tutti gli altri uomini
politici eminenti di Europa, non incontrò mai avversari politici.
Egli non avrebbe potuto scontrarsi con avversari, perchè la sua genia¬
lità e la sua posizione o situazione politica erano superiori ai partiti, non
derivando in lui da una petizione di temperamento o carattere fisiologico.
Le sue qualità personali dovevano necessariamente procurargli unanimi
simpatie in tutti i nostri partiti politici, morali e spirituali, che nascono e
sono alimentati da ragioni di differenziazione e contrasto di temperamenti e
costituzioni antropologico-mentali, ma sentono tutti, con pari attrazione,
il fascino e la nostalgia della romanità.
II.
Il Ministro dell’Istruzione.
La parte maggiore, più nota e più efficace dell’opera di Guido Baccelli,
come uomo di Stato, si svolse quando Egli fu preposto, per ben tre volte, a
Dicastero della Pubblica Istruzione; mentre quella minore, ma non meno
geniale e ardita — che egli solo avrebbe potuto realizzare se avesse potuto
restare al potere più a lungo — si iniziò, e rimase sospesa con lui, quando
fu Ministro dell’Agricoltura.
Per effètto della sua stessa genialità, l’ima e l’altra missione si comple¬
tarono nella sua mente, quasi fossero state correlative, e si svolsero pratica -
mente con quel criterio di organizzazione e con quello spirito riformatore che
10 distingueva e che, in fondo, è la caratteristica del temperamento romano.
Con « l’occhio clinico del medico sociale » egli aveva intuito, tra le fun¬
zioni dei due dicasteri — oggi separati da muraglie della Cina — un nesso
strettissimo che alcun altro uomo politico aveva visto prima di lui e che, dopo
di lui, nessuno riuscì ad afferrare positivamente!
La parte più nota, più discussa e quindi più celebre del suo programma
di Ministro della P. I., lanciato fin dal 1881, quando egli entrò alla Minerva
col Ministero Cairoli, fu quella della Riforma universitaria , basata sulla triplice
autonomia, didattica, amministrativa e disciplinare, di tutti gli Istituti d’i¬
struzione superiore.
Quel suo celebre progetto di legge doveva esser collegato organicamente
ad un altro in gestazione, che era anche più geniale, diretto a decentrare, a
'favore delle Provincie e dei Comuni, l’istruzione secondaria, classica e tecnica,
a suo avviso erroneamente avocata allo Stato per paura dei preti, e doveva
essere, poi, armonicamente completato da un progetto di avocazione allo
Stato dell’istruzione primaria e magistrale.
B facile comprendere come questo grandioso e completo programma di
riforma, che nessun partito radicale osò mai far proprio, anche perchè era
troppo radicale, fosse cementato dalla concezione romana della Scuola po¬
polare.
Nulla di più razionale e perfetto di quel programma, dal punto di vista
della logica romana di Stato.
Ma questa logica romana è stata sostituita nei tempi nostri, non solo in
Italia, ma anche in Francia e in Inghilterra, dalla logica germanica, perchè
11 principio dello Stato moderno più accreditato, non è quello dell’antico Stato
romano e neanche quello creato dalla Rivoluzione francese, bensì quello ac-
centratore, elaborato dalla dottrina germanica, adatto solo alla razza teuto¬
nica e che ha un esponente nel marxismo.
Perciò, quel progetto di legge sull’autonomia universitaria, che sem¬
brava a tutta prima d’ispirazione germanica, ma che era invece a tipo medioe¬
vale, come ebbe a dichiarare lo stesso Baccelli nel suo discorso parlamentare
del 28 gennaio 1881, si arenò ripetutamente. Esso ledeva troppo la volontà
di dominio delle scuole, o meglio, delle clientele universitarie e degli abituali
mestatori di tutte le Commissioni di concorso, che sono, purtroppo, i maggiori
responsabili della lamentata decadenza dei nostri studi superiori!
Per la storia della nostra libertà universitaria, rimarranno memorabili
queste parole pronunciate da Guido Baccelli alla Camera, nella tornata
del 15 dicembre 1876:
«Il mio ideale sarebbe che il Consiglio Superiore della P. I. fosse abo-
«lito, perchè esso è perfettamente inutile quando non sia dannoso. Che se
« pure si vuole che un Consiglio vi sia, questo dovrebbe essere composto di
« uomini totalmente estranei alla politica, non di ex ministri, non di deputati,
« non dì senatori, ma di uomini solamente dediti agli studi e che sentano come
«dalla cura sola degli studi essi possano attingere quel bene che il paese
« stesso ha il diritto di chiedere da un Consiglio d’istruzione pubblica ».
6
V
\
Quanto alla riforma della Scuola secondaria, che fu la più geniale delle
intuizioni baccelliane — poiché è veramente un grossolano errore finanziario,'
psicologico-morale, politico e perfino didattico dello Stato moderno, l’avo¬
cazione dell’istruzione media allo Stato — non fu neanche concretamente
formulata, perchè gli enti locali non avrebbero potuto, per impotenza finan¬
ziaria, accettare l’eredità di Stato, e perchè la classe degli insegnanti medi-
fin da allora aspirante a grande potenza di classe, non avrebbe tollerato l’ap¬
parente degradazione.
Il compito dello Stato, in materia d’istruzione, venne, infatti, così de¬
finito dallo stesso Baccelli, in un discorso del 14 marzo 1891: «Il Governo
« faccia dei cittadini e dei buoni soldati; questo è il debito suo! Gli avvocati,
« i medici, i matematici, i professori li faccia chi vuole o si facciano da sè e
si trovino la scuola, che credono migliore.
«L’insegnamento classico e tecnico, come è sua natura, sarà più facil-
« mente portato sotto la giurisdizione delle provincie. Cotesto è un decentra-
« mento amministrativo veramente necessario. E vedrete allora che queste
« scuole potranno svilupparsi meglio attorno ai centri universitari e vi an-
« dranno ad istruirsi sol quelli, che avranno mezzi per andarvi, e così verranno
« anche a diminuire gli spostati.
«Nessuna nazione al mondo si deve occupare di portare il giovinetto
« fino ad una determinata scienza, o al determinato esercizio di una profes-
« sione; nulla di tutto ciò spetta allo Stato; allo Stato spetta l’educazione e
« l’istruzione popolare, e l’educazione popolare non può darsi che per mezzo
« della ginnastica militare generalizzata (1).
« Voi nelle scuole preparate l’esercito, e sarete sicuri del fatto vostro; e,
« quando avrete cittadini e soldati, l’Italia potrà essere più robusta assai di
« quello che oggi non sia, con una miriade di piccoli avvocati, di piccoli me-
« dici, di piccoli ingegneri, i quali ordinariamente non superano la mediocrità.
« Portare sotto la mano del Governo tutta l’istruzione elementare e
«le scuole popolari, che sono la fabbrica del cittadino e del soldato; tuttofi
« resto toglierlo dalle mani del Governo, assegnando a questo fi diritto di
« vigilare come deve. Libere e poche le Università, ma grandi, forti e gloriose;
« ed intorno a queste, liberamente svolgentisi nelle Provincie, le scuole me-
« die (2). E chi vuole andarci, paghi; ma il Governo non ha nè bisogno nè
« dovere di reclutare particolarmente giovani che si dirigano a questa o quella
« professione, che vogliano adornarsi di questa o quella scienza ».
Quattordici anni più tardi, anche lo scrivente svolgeva alla Camera ana¬
loghi concetti, in un discorso del 29 novembre 1905 , col quale dichiarava il
suo fondamentale dissenso intorno a un nuovo progetto di legge sull’istru¬
zione media :
(1) L’idea della «ginnastica militare generalizzata» è propugnata anche da un pro¬
getto di legge presentato dal Baccelli, ministro della P. I., il 27 novembre 1881 (n. 240),
come complemento dell’istruzione elementare obbligatoria.
(2) Sull’avocazione dell’istruzione popolare allo Stato e dell’istruzione secondaria agli
enti locali, il Baccelli aveva pronunciato un discorso alla Camera anche il 20 giugno 1888
Fu notevole anche il discorso del 2 giugno 1894, essendo Egli Ministro della Pubblica
Istruzione, sulla necessità di ammodernare la Scuola classica e di specializzare l’Istituto
tecnico per rendere quest’ultimo più rispondente ai bisogni del popolo.
7
« Credo che primo dovere dello Stato sia quello di formare dei citta-
« dini e non dei letterati, dei filosofi o dei poeti », io dissi allora.
« Lo Sato deve anzitutto peusare a diffondere la coltura scientifica e
tecnico-professionale ».
« Devesi cessare dal considerare come base principale della cultura di
« Stato la scuola secondaria che serve solo per le media e l’alta borghesia.
<c Io credo che lo Stato potrebbe disinteressarsi del tutto della direzione di
« questo ramo di istruzione ed affidarla alle provincie, le quali potrebbero a-
« dempiere a quel servizio meglio di lui, ma contribuendo nella spesa per poco
« più della metà di quella che è ora stanziata nel bilancio dell’istruzione pub¬
blica per le scuole secondarie. In questo modo soltanto potremmo trovare
« le corrispondenti economie di parecchi milioni per attuare il grandioso pro-
« gramma dell’istruzione elementare obbligatoria, con la relativa assistenza
« scolastica, che altrimenti non avremmo mai, e quindi con la conseguenza,
«finora utopistica, della scomparsa dell’analfabetismo.
« Emancipiamoci dal pregiudizio che lo Stato non possa rinunziare al
« baluardo della scuola secondaria! Persuadiamoci che se anche decentrasse
« questo servizio che è veramente d’importanza secondaria ed avocasse in-
« vece a sè quell’istruzione primaria, che ha davvero una importanza primaria
« per uno Stato a base democratica, nessuna delle nostre istituzioni rovi-
« nerebbe.
« Basterebbe ripristinare l’esame di ammissione all’Università.
«Davvero , io non riesco a comprendere perchè vi sieno tanti pregiu-
« dizi nella politica scolastica italiana, contro il libero insegnamento secon-
« dario! L’Inghilterra è certamente un paese più conservatore ancora dell’I-
« talia; eppure è arrivata fino al 1899, persuasa, specialmente nel suo partito
« conservatore, che un Ministero della istruzione sarebbe stato non solamente
« inutile, ma incostituzionale.
« In quell’anno finalmente si è decisa a compiere la grande riforma della
« istituzione di un Board of Education ad imitazione dei Ministeri della pub-
« blica istruzione di Francia e d’Italia, in luogo dell’antico Department of
« Education , che era una semplice direzione generale.
«Ma nessuno finora, in Inghilterra, oserebbe pensare alla possibilità
« di avocare allo Stato l’istruzione secondaria o d’istituire nel nuovo Mini-
« stero una direzione generale per l’insegnamento medio. Il nuovo orienta-
« mento della politica scolastica inglese, che condusse alla fondazione di quel
« Ministero, non è mai uscito finora dall’ambito della educazione popolare,
« ed anzi è caratterizzato da bisogni analoghi a quelli che noi sentiamo, ma
« che non vogliamo sodisfare per pregiudizi ultra-borghesi.
« Fu il problema della istituzione di scuole complementari per le classi
«lavoratrici allo scopo di mantenere ferma la supremazia industriale e com-
«merciale inglese, minacciata dalla concorrenza tedesca, che indusse i con-
« servatoti inglesi a fondare un Ministero della istruzione a somiglianza di
« quelli dell’Europa continentale.
« Orbene, noi abbiamo gli stessi problemi di politica scolastica democra-
« tica da risolvere, ma li rimandiamo sempre alle calende greche.».
In fatto di ordinamento dell’istruzione media, l’Italia trovasi ancora
all’istesso punto. Le leggi successive sullo stato giuridico del personale in-
segnante, non hanno avuto altro risultato che quello di peggiorarne il
funzionamento, con ingentissimo e inutile sacrifìcio finanziario dello Stato.
E così pure, quella grandiosa e ardita terza parte — la prima logica¬
mente — del programma baccellino, non potè venir concretata allora,
stante la solita incapacità economica dello Stato a liberare totalmente i Co¬
muni dall’onere dell’istruzione elementare.
È noto, poi, attraverso quali e quante leggi la parziale, indiretta avoca¬
zione della scuola primaria allo Stato, almeno agli effetti morali e didattici,
abbia potuto realizzarsi per fruttificazione spontanea dell’idea baccellina.
Ma quanto siamo rimasti ancora lontani dalla genuina e pratica attua¬
zione di quell’idea!
In verità, credo che pochi abbiano compreso e condiviso la concezione
romana della Scuola popolare , dataci da Guido Baccelli, e che non coin¬
cide affatto colla scuola primaria.
dell’ideale scolastico baccellino concorrevano due fattori, dirò così
romanisti, che d’ordinario mancano quasi del tutto nella mentalità dei mi¬
gliori educatori e pedagogisti moderni, a cominciare proprio da quelli che in¬
vidiano la gloria storica, quasi militare, del maestro di scuola tedesco e vor¬
rebbero riprodurla da noi, quasi fosse un processo tecnico liberamente imi¬
tabile e proficuo anche per la razza mediterranea!
Il primo di questi fattori era, appunto, la concezione baccelliana — ro¬
manista e non germanista — del nesso indissolubile fra Scuola Popolare ed
Esercito. L’altro era il fattore, dirò così, greco-romano dell’educazione gin¬
nastica popolare, nel senso antico della parola e non nel senso moderno in¬
glese o germanico.
Quando il Baccelli parlava del nesso fra Scuola ed Esercito e riprodu¬
ceva, consciamente o no, gli insegnamenti dei maestri romani, voleva una
riforma della Scuola popolare che tendesse a preparare non soltanto il lavo¬
ratore - soldato istruito, forte e disciplinabile — come fa il maestro di
scuola tedesco che deve smussare tutte le angolosità spirituali del futuro
mattone dello Stato — ma anche, e piuttosto, il cittadino-elettore, munito
di tutte le occorrenti virtù civiche romane: coraggio individuale, bontà di
cuore, libertà morale, volontà di equità.
È questo il supremo interesse dello Stato: perciò era intrinsecamente
assurdo, nella mente baccelliana, che la scuola nazionale dei figli del popolo
fosse concepita come aliare comunale e che, viceversa, fosse concepita come af¬
fare di Stato l’istruzione media dei figli della borghesia, che ha assoluto e
urgente bisogno di adattarsi alle esigenze economiche e professionali locali.
E quando Guido Baccelli parlava della necessità dell’educazione fì¬
sica nella Scuola popolare, non intendeva affatto riferirsi agli sports e ai giuo¬
chi che mirano a rafforzare i muscoli del futuro lavoratore-soldato; non in¬
tendeva, cioè, dedurre quella forma di educazione dal culto della forza mu¬
scolare necessaria alla potenza d elio Stato, come i maestri tedeschi del Faust
rechi o quelli inglesi di boxe.
Egli sentiva, invece, il legame tra la sua missione nazionale di riforma¬
tore dell’educazione civica e l’avvenire eugenico e igienico delle giovani ge¬
nerazioni depositarie delle sorti della Nazione e della salute della Patria; e
voleva affermare, anzitutto, il fattore medico-sociale dell’educazione inte-
graie dei figli del popolo. Un concetto, questo, puramente romano e, quindi,
cento volte più largo di quello posseduto dai migliori insegnanti di ginnastica!
((Perchè la scuola elementare approdi — egli disse alla Camera in un
« meraviglioso discorso pronunciato, da Ministro ? il 2 giugno 1894 — bi-
« sogna confortarla di un altra istituzione: della Scuola complementare, che
« dovrebbe essere la vera fabbrica del cittadino e del soldato. Sino ai 16
« anni lascio i giovanetti al vostro programma. Ma ai 17 anni farò una
« coscrizione scolastico-militare; a quella età la gioventù ha, non solo la quan-
« tità di forza necessaria a conservare sé stessa, ma anche un rigoglio segnato
« dalla capacità di propagare la specie. Allora può il legislatore 'imporre
« qualche cosa pel bene comune; e questa sia l’educazione virile, l’educazione
«militare in conformità della nostra legge...
« Questo ufficio — di difendere, occorrendo, il paese e quelle istituzioni
« che lo rendono saldo e invidiato — deve utilmente insegnarsi ai cittadini
« fin dalla scuola; perchè ivi imparino ancora quei principi di etica mili-
« tare senza i quali il soldato non è.La legge che noi abbiamo in animo di
« presentare, è intesa a fortificare la gioventù nell’intento militare.
« Quinàri tutti gli esercizi ginnici che convengono a questo intento sa-
« ranno consigliati e aiutati dall’opera del Governo.
« Pel movimento, avrete e passo regolare ed accelerato, e marcia di re-
« sistenza e corsa e salto, e, dove si possa, anche il moto del velocipede. Nei
« luoghi ove si trovassero corsi d’acqua, avrete la ginnastica del canottaggio;
« e altrove, permettendolo i mezzi, l’alpinismo, l’equitazione; insomma tutto
« quanto possa essere adatto a fortificare le membra e, disciplinando le forze,
« procacciar la salute. Ma con tutto ciò dovrà esservi il maneggio delle armi,
«la scuola del soldato e il tiro a segno obbligatorio per l’ultimo anno.
« E quando noi avremo dato al Ministro della guerra giovani che a 20
«anni abbiano sodisfatto l’obbligo triennale della scuola complementare,
« credo che tutti saremo d’uno stesso avviso, cioè che potrà ridursi graduai -
« mente la ferma e, pei migliori, anche ad un semestre solo. Avrete allora
« davvero 50 o 60 milioni di meno sul bilancio della guerra e sentirete di aver
« educato il popolo fortemente, e come si conviene ad una giovine nazione.
« la quale risorge colla gloria delle sue tradizioni ».
Quest’idea dell’educazione fìsica e dell’igiene somatica, considerate
come elementi essenziali della cultura del corpo e dello spirito della gioventù,
ha dominato sempre nell’opera politica di Guido Baccelli.
Sono veramente scultorie le seguenti parole da lui pronunciate, come
relatore del Bilancio' della P. I., l’8 marzo 1879: «.i nostri Ministri dell’i-
« struzione pubblica dovrebbero avere per loro compito finale questo: che il
« cittadino perfetto, per quanto è possibile, avesse i muscoli di un facchino
«e la testa di un giureconsulto. Bisogna che tutto vada d’accordo, che l’una
«cosa aiuti l’altra, perchè sono strette talmente fra loro l’educazione dello
« spirito e quella del corpo, che l’una sull’altra, senza dubbio alcuno, grande-
« mente influisce.
« Non c’è nulla di peggio, per un paese che deve studiare il problema della
« prima scuola e della prima educazione, di accaparrarsi con eccesso di studio,
« dei piccoli filosofi a 7 anni per avere degli imbecilli a 50! »
Riassumendo, Guido Baccelli sembrami essere stato il più rappresen-
10
tativo dei nostri Ministri della pubblica istruzione, perchè intuì il nesso con¬
tinuo della Scuola Nazionale, corrente dalla scuola primaria all’Università,
e consistente nella funzione unica e indivisa di formare e selezionare ca¬
ratteri e intelletti.
Le prove numerose di coraggio nell’allontanarsi dalla routine burocratica
e regolamentare, da lui date nell’adempimento della sua missione, stanno a
provare con quale sentimento romano della libertà egli avesse voluto conse¬
guire la massima efficienza della scuola. Fra quelle prove di coraggio, divenne
giustamente celebre la nomina di Boberto' Ardigò a professore ordinario nel¬
l’Università di Padova. Fu un atto di grande significato intellettuale e po¬
litico, perchè l’antico sacerdote che, in una modesta scuola secondaria, in¬
segnava filosofìa razionalista, era allora reputato immeritevole di salire ad
una cattedra universitaria!
Ragioni di brevità non mi consentono di sodisfare il desiderio di com¬
mentare e illustrare a fondo il pensiero baccelliano, per quanto sia questa la
forma migliore di omaggio che possa rendersi alla sua bella memoria. _
Quest’uomo multanime fu, per oltre un trentennio, oltre che il cittadino
più popolare e più degno di Roma, anche l’assertore convinto e magnifico
del connubio, unico al mondo, della metropoli moderna coi fastigi della me¬
tropoli antica e il rievocatore di un passato di grandezza.
Perciò le manifestazioni della mentalità romanista di Guido Baccelli
si esplicarono in modo mirabile anche nel campo della conservazione, o meglio,
della continuazione delle glorie dell’Urbe.
Il suo amore per la latinità classica gli aveva infuso un’ardente passione
per l’archeologia, un insaziabile desiderio di ricercare nelle viscere di Roma
sempre nuove vestigie della gloria antica.
Nessuno in Italia, prima di lui, e molto meno qualunque professore te¬
desco di romanità, fosse pure un Mommsen, aveva mai sentito e intuito come
e perchè la conservazione e la rivendicazione allo spendore e alla gloria, dei
monumenti abbandonati di Roma imperiale, dovesse riguardarsi come una
continuata creatio agli effetti educativi, morali e politici, nazionali prima
ancora che mondiali.
Anche a questo riguardo bisogna però evitare l’illusione che può nascere
dalla confusione solita fra la romanità di cultura o cultura romanista, pos¬
seduta da quanti, italiani e stranieri, coltivano gli studi classici, storici e giu¬
ridici romani — cultura la quale può essere indifferentemente, come oggi
vediamo, strumento di civiltà o di barbarie — e la romanità di anima e di
sentimenti, posseduta in Europa solo da un parte della razza storica romana,
diffusa naturalmente in tutta l’Italia.
Chiunque avrebbe potuto, in omaggio al culto di Roma antica, così
diffuso nelle accademie d’Europa, fare quello che attuò Guido Baccelli per
il Pantheon e le Terme e il Foro e il Palatino e il Colosseo e il Tempio di
Vesta e per tanti altri monumenti e scavi nel Lazio, nella Campania e
altrove.
Ma nessuno avrebbe potuto concepire con pari genialità e finalità na¬
zionale quella stupenda Passeggiata archeologica che, partendo dall’Arco di
«
Costantino, costeggiando il Palatino e le Terme di Caracalla, racchiude
tutte le grandi rovine e le più belle memorie di Roma.
11
A questa opera' insigne che esalta lo spirito del viandante, che educa le
giovani generazioni alle memorie sublimi dei nostri avi e indica allo straniero ?
il grado della nostra civiltà e del nostro culto per le glorie antiche, Guido
Baccelli dedicò gli sforzi e le luci più potenti della sua mente romana,
perchè essa rappresentava, nel suo pensiero, il più fulgido ideale della civiltà
umana.
Per un sì grande umanista, l’archeologia era non altro che l’esaltazione
di Roma, e Roma rappresentava, innanzi alla sua mente, il centro del mondo
civile, come, per i romani era un simbolo sacro del destino di Roma, il miglio
aureo che, nel Foro, segnava il punto centrale di partenza e di arrivo di tutte
le strade consolari, irradiantisi dall’Urbe verso i confini dell’Impero !
Quanti sono, ancoraggi, coloro i quali vedono il nesso fra la Passeggiata
archeologica , la mirabile platea unica al mondo, e la Scuola Popolare sognata
dal Baccelli, e concepiscono l’una e l’altra, quali mezzi di rieducazione ro¬
mana?
Penso, infatti, che occorrerà ancora un lungo lavorìo di reazione contro
tutta la luce che ci venne dal Nord, anche in materia romana, per restaurare
in noi una psicologia etnica romana capace di sentire tutta la grandezza delle
iniziative e delle idee-forze lasciateci in eredità da Guido Baccelli.
Si dovrebbe dire ancora di quanto fece il Baccelli per la creazione in
Roma di una Galleria d’arte moderna, allo scopo di fondere la storia con la
vita e rilevare i nessi e i segni imperituri dell’evoluzione della civiltà morale
e artistica italiana. E converrebbe trattenersi a lungo per lumeggiare l’idea
costruttrice di quel Policlinico che sarà il vero monumento dedicato alla me¬
moria immortale di Guido Baccelli, perchè nessun altro avrebbe potuto
concepire con tanta genialità un così « insigne modello di clinica e di scuola,
di pietà e di scienza » come lo definì giustamente l’on. Rava.
Ma queste altissime benemerenze di Guido Baccelli, sono ormai di do¬
minio comune. Esse sono apprezzate da tutti gli italiani!
III.
t' . - ;» # ' ' • t ^ V » : ' | 1 €
Il Ministro di Agricoltura.
f
Le concezioni e le iniziative, che avrebbero dovuto riuscire così fe
conde nel campo dell’agricoltura, cominciarono allorquando Guido Baccelli
era ministro dell’Istruzione.
Ho detto già come egli sia stato il primo a scorgere il nesso intimo tra la
funzione dei due dicasteri dell’Istruzione e dell’Agricoltura.
La prima applicazione di questo concetto, fu la sua energica yolontà
di inspirare nell’istituto della Scuola e quindi nell’organismo della Nazione,
quale soffio di vita giovane, gagliarda e redentrice, l’amore al lavoro manuale.
La virtù educativa del lavoro manuale nelle Scuole elementari fu dal
Baccelli segnalata in circolari che rimarranno a testimoniare del suo spi¬
rito genialmente innovatore.
Il lavoro manuale per tutti i fanciulli, quello agricolo per i figli dei con¬
tadini, per i soldati e per quanti possono o debbono, dalla Scuola o dall’E¬
sercito, ritornare alla terra.
« Siamo tutti convinti — egli disse alla Camera il 10 marzo del 1875 —
12
che nobilitare l’aratro colla robusta ed onorata mano dei nostri soldati
sarebbe uno degli equivalenti della fortuna d’Italia, perchè la fortuna d’I
talia è necessariamente agricola ».
Questa è la concezione che, divenuto Ministro, egli lanciò nella Scuola e
nell’Esercito e che favorì la fioritura di una ricca letteratura popolare.
Furono, infatti, numerosi gli autori e gli editori che si proposero di di¬
vulgare il verbo baccelliano. Questo penetrò anche nell’Esercito dopo che
Vittorio Emanuele, allora Principe Ereditario, confortò del suo appoggio
l’iniziativa del Ministro riformatore, che aveva suggerito di introdurre le
conferenze agrarie per i soldati, nelle ore destinate alla ricreazione festiva.
Guido Baccelli voleva l’Italia forte e voleva che la Scuola e i campi
preparassero i cittadini alla milizia. Ex agricolis viri fortissimi et milites stre¬
nuissimi gignuntur , egli suole va ripetere spesso!
Può dirsi, adunque, che Guido Baccelli si preoccupava dei problemi
di competenza del Ministero di Agricoltura, anche quando era preposto a
quello dell’Istruzione.
Egli aveva intuito, con diagnosi sicura, che la causa prima del nostro
malessere economico-morale, della nostra anemia economica, era una crisi
dell’agricoltura.
Questa intuizione gli dettò il monito sapiente, che usava ripetere spesso
anche in Parlamento, all’indirizzo di tutti i maestri: « istruite solo quanto
occorra; educate quanto più si può; innamorate dei campi le generazioni
novelle! »
Il ritorno alla terra fu genialmente sentito e consigliato dal Baccelli,
Ministro dell’Istruzione, più e meglio che dai maestri di tecnica agraria e dai
Ministri dell’economia nazionale. E siccome egli ben comprendeva che l’e¬
ducazione all’amore della terra, dell’ima parens frugum , dà i migliori risul¬
tati quando venga iniziata nell’età della puerizia, volle che accanto alle scuole
elementari sorgesse il campicello e che ‘l’opera educatrice e restauratrice fosse
completata colla festa degli Alberi .
Intorno a queste due istituzioni, ben note e non ancora decadute, il
cui valore pratico e simbolico è forse sfuggito ai più, non occorre soffermarsi.
Promuovendo l’agricoltura, Guido Baccelli non faceva altro che rea¬
lizzare l’idea latina di Cibele, madre delle mèssi e suscitatrice di civiltà; ce¬
lebrando l’annuale piantagione degli alberi, egli intendeva forse di rievocare
anche le antiche Palilie e le solenni cerimonie con le quali gli antichi romani
onoravano gli alberi e i fiori.
Tutto ciò doveva contribuire alla realizzazione di quel programma di
educazione fìsica e morale, che avrebbe dovuto dare alla nuova Italia una
nuova generazione robusta di corpo e sana di mente, come quella antica ro¬
mana. Infatti per Guido Baccelli, la romanità equivaleva la perfezione e
il romano era, per lui, il tipo ideale dell’uomo civile di razza superiore, con¬
quistatore ma non eversore di popoli e promulgatore di leggi.
Ed invero, non appena fu chiamato a reggere il dicastero dell’Agricol¬
tura, egli si accinse a completare questo programma di politica agraria.
Allora egli si accorse subito del misoneismo dei nostri agricoltori e per
educarli a riconoscere l’utilità dei concimi chimici, promosse, dovunque,
campi dimostrativi, e più specialmente nell’Italia meridionale e insulare.
13
Come, allorché fu Ministro dell’Istruzione, egli presiedette, sempre, con
singolare amore la Commissione per l’istruzione primaria nel Mezzogiorno,
così da Ministro dell’Agricoltura rivolse la sua attenzione e le sue cure pre¬
ferite alle regioni agrariamente sofferenti dell’Italia meridionale.
Egli fu il primo Ministro di Agricoltura che comprese la necessità di de¬
dicare i massimi sforzi al miglioramento della granicultura nazionale; egli
creò il primo istituto specializzato allo scopo di studiare la selezione e la ibrida,
zione dei migliori grani ed avviare il nostro Paese verso la liberazione dal grave
tributo che deve pagare, ogni anno, all’estero per l’acquisto del frumento.
Un’idea baccelliana, che fu molto discussa e che incontrò ingiustificate
opposizioni economiche e scientifiche, ma sulla quale è necessario, invece,
soffermarsi, perchè rivela la mentalità dell’igienista o meglio del medico so¬
ciale, fu quella del vino popolare.
Nessuno meglio di lui conosceva la questione dottrinale e sociale dell’al-
co olismo.
Egli sapeva bene che per valutare correttamente le resistenze, le capa¬
cità, le inclinazioni e i pericoli sociali di un dato popolo, occorre rappresen¬
tarci la sua situazione igienica nel tempo e nel luogo in cui quel popolo vive.
E poiché gli constava certamente che il sistema nervoso dei popoli eu¬
ropei è stato scosso, nella seconda metà del secolo scorso, da un brusco pas¬
saggio alla civiltà industriale e alle battaglie conseguenti del pensiero e del
lavoro che debilitano gli elementi nervosi e stimolano l’uomo alla ricerca dei
piaceri e degli eccitanti, sentì il pericolo dell’alcool e la necessità, special-
mente nelle classi popolari e lavoratrici, di deviax'e il bisogno del bere, dai
quori al vino.
Perciò, indulgendo alla massima popolare, ed anche scientifica, che il vino
sano e genuino, parcamente consumato, non fa male, e che l’uso ragionevole
di esso allontana il lavoratore da quei liquori alcoolici che hanno devastato
la salute ed hanno apportato la rovina in tanti paesi, cercò di raggiungere
il nobile fine di migliorare, ad un tempo, le condizioni igieniche ed economiche
dei lavoratori, promuovendo gare speciali per la produzione di un vino po¬
polare , genuino e di medio prezzo, come di media gradazione alcoolica.
Nello stesso tempo, volendo anche curare il problema della nostra espor¬
tazione, bandì i primi concorsi per vini a tipo costante , essendo questa con¬
dizione la suprema esigenza del mercato ; e favorì poi la più larga appli¬
cazione del principio cooperativo all’industria enologica.
IV.
La sua operosità igienico-sociale.
Ma la massima delle benemerenze di Guido Baccelli è stata la sua
ardita concezione della bonifica obbligatoria delle terre malariche, a comin¬
ciare da quelle dell’Agro Romano, e della bonifica dei contadini mediante
quella della terra.
È qui che traspare la genialità del clinico, dell’igienista e del medico
sociale, fusa nella mente dell’uomo politico!
Nessuno, prima di lui, aveva intuito il nesso fra le due bonifiche: quella
tellurica e quella umana; come nessun Ministro dei Lavori pubblici, nemmeno
»
14
il grande Baccarini, aveva saputo mai intuire, al pari di lui, la necessità di
combinare insieme, in una bonifica integrale, quella idraulica, quella agraria
e quella umana, per ottenere stabilmente la redenzione delle terre malariche.
Infatti, le tre bonifiche, se scisse, falliscono sempre.
Nella mente di Guido Baccelli, era questo un canone di medicina po¬
litico-nazionale.
Egli sentiva giustamente, con larghezza di vedute, veramente romana,
epperciò legislatrice, che la tutela dell’ecònomia nazionale non può conside¬
rarsi completa, se accanto alle provvidenze per aumentare la produzione e
facilitare gli scambi non si colloca, in prima linea piuttosto che in seconda,
la tutela di tutti i fattori della produzione, a cominciare dalla salute del la¬
voratore e da quella della terra.
Perciò egli fu strenuo partigiano dell’istituzione dell’Ufficio del Lavoro e
della legislazione operaia; fu liberalissimo tutore delle organizzazioni ope¬
raie; fu patrocinatore convinto di disposizioni legislative atte a prevenire le
malattie professionali o ad attenuarne le conseguenze e ripararne i danni,
mediante l’as&icuraziòne. Egli propugnò inoltre, la riforma della legge sul
lavoro delle donne e dei fanciulli, della giustizia probivirale per i lavora¬
tori delle industrie e dell’estensione di essa ai lavoratori della terra. Volle
energicamente una difesa legislativa contro la pellagra e la sorveglianza del
commercio del granturco e dei suoi derivati, nonché dell’essiccamento com¬
pleto di questo cereale, che incoraggiò mediante un concorso internazionale.
La prima idea di questo grandioso programma armonico di politica sa¬
nitaria del lavoro agricolo, di redenzione e di colonizzazione delle terre ma¬
lariche, nacque nella mente di Guido Baccelli nel 1878, quando egli fu re¬
latore della prima legge a favore dell’Agro romano.
Ma già, fino dal 1875, invocando anche a nome di Giuseppe Garibaldi,
allora deputato del 1° Collegio di Roma, dal Ministro dei Lavori pubblici,
che era Spaventa, un progetto di legge per una piccola zona dell’Agro, vicina
alla Capitale, avea manifestato quello che fu poi il concetto informativo di
tutta la sua opera di legislatore.
« Non debbono i grandi possidenti — egli disse nella tornata del 10
« marzo di quell’anno — recar nocumento agli altri con la malaria delle
« loro lande inospitali; non deve restare un terreno incolto che frutti il 5
« per cento colla paglia, col fieno e coll’erba, perchè i maggiorenti sociali non
« hanno diritto di ammazzare il basso bestiame! Occorre dunque provvedere
« anche a questo ».
Certo, Guido Baccelli era un biologo e un clinico, non un giurista nè
un economista; ma possedeva la mentalità romana e sapeva che Imperatori
e Papi avevano già affermato la ragione giuridica di un intervento del Le¬
gislatore contro l’inerzia dei proprietari dell’Agro, per obbligarli alla bonifica
forzata. « Qualcuno mi osserverà — egli ebbe a dire un giorno alla Camera —
« che ci sono i possidenti, e che con quelli bisogna fare i conti. Sicuro: pense-
« ranno i legali a fare una legge che riguardi i latifondi ».
Perciò, superando arditamente i pregiudizi giuridici dei fautori del jus
abutendi medioevale, nonché gli scrupoli economici dei liberisti di scuola in¬
glese — i quali giustificano sempre il tornaconto del proprietario di aste¬
nersi dalle bonifiche quando questi, tenendo la sua terra malarica a pa-
15
scolo, ricava un fìtto più alto del profìtto netto che ricaverebbe dalla bonifica
— seppe persuadere il Legislatore ad emanare lina prima legge di carattere
romano e pontifìcio sulla bonifica agraria obbligatoria di un primo tratto del¬
l’Agro circondante la Capitale.
Fu una conquista giuridica di valore immenso, la quale, pur essendo
stata in parte rinnegata e in parte rimasta inosservata per effetto delle leggi
successive sull’Agro romano, pose, nondimeno, una pietra miliare nel cam¬
mino della legislazione delle bonifiche.
Ma Guido Baccelli non fu pago delle prime provvidenze. Diventato
Ministro di Agricoltura nel 1902, osò, subito, di tentare il completamento
logico e giuridico della prima legge sull’Agro romano, in un senso meglio
rispondente ai suoi principi di reale bonifica igienico-sociale.
Infatti, l’originalità coraggiosa del progetto Baccelli — che divenne
poi, attraverso gravi modificazioni volute dal Senato, la legge del 1903 —
fu questa: ricondurre l’azione dello Stato alla idea fondamentale della prima
legge del 1878, cioè all’espropriazione forzata dei proprietari inadempienti
all’obbligo della bonifica. Guido Baccelli voleva ottener ciò a condizioni
vantaggiose per lo Stato, cioè senza pagare l’alta rendita che i proprietari
ricavano dall’affìtto dei pascoli, ma corrispondendo il vero valore della loro
terra, da capitalizzarsi mediante un multiplo dell’imposta erariale.
I proprietari non dovrebbero avere il diritto di profittare della propria
inazione; essi sono anzi responsabili di tenere le loro terre malariche a causa
della incoltura. Chi favorisce, colla propria inerzia, il dominio della malaria
nelle sue proprietà, danneggia i lavoratori e lo Stato. « La proprietà è sacra,
ma l’abuso di essa è un reato sociale »: ecco il principio baccellino, che è
anche oggi, da molti giuristi, reputato giuridicamente sostenibile! Non può
pretendere di ricavare dall’espropriazione un guadagno, come se si trattasse
di libera vendita, chi gode una rendita di monopolio contraria alle leggi del¬
l’igiene e dell’economia agraria, le quali, per fugare la malaria, impongono
invece la cultura intensiva e la colonizzazione.
Ma questo concetto fondamentale del progetto baccelliano cadde in
Senato, ove incontrò l’opposizione degli interessati.
II progetto Baccelli fu. rinviato alla Camera fondamentalmente sna¬
turato.
La bonifica dell’Agro, che doveva essere una obbligazione legale, ve¬
niva invece a basarsi sopra un presunto tornaconto privato, in vista degli a-
deguati corrispettivi promessi dallo Stato.
La base della riforma era evidentemente mutata, inquantochè ad un
provvedimento che aveva carattere penale per la eventuale inerzia dei pro¬
prietari, veniva a sostituirsi un sistema di protezionè agraria, avente carat¬
tere di privilegio invidiabile da tutti i proprietari di terre malariche!
Ecco perchè la questione dell’Agro romano è rimasta insoluta!
Lo Stato non ha, infatti, alcun tornaconto ad espropriare a condizioni
troppo vantaggiose per i proprietari. Alla lor volta, questi, che non temono
troppo il pericolo dell’espropriazione, si contentano di miglioramenti fon¬
diari e zootecnici che, agli effetti della colonizzazione interna, sono ben lungi
dal raggiungere il fine voluto dallo spirito della legge.
Quando il Parlamento si sarà persuaso che la legge del 1903 non può
dare tutti i risultati che se ne speravano, è opinione di molti che si ritornerà
alla grande idea baccelliana, di pagare, cioè, la terra quello che vale, senza
tener conto della rendita di monopolio, essendo questa una rendita che alcuni
giuristi reputano indebita perchè, a loro avviso, sarebbe fondata sullo sfrutta¬
mento della malaria!
Quindi è preveduto che il principio baccelliano ritornerà certamente
in onore, perchè il problema della bonifica delle terre malariche, compreso
l’Agro romano, dove esso è rimasto insoluto per quanto concerne le coloniz¬
zazione e il risanamento effettivo della terra e dei contadini, è destinato a
diventare, quanto prima, il massimo problema agrario dell’Italia moderna.
Ciò che importa rilevare è, che Guido Baccelli non si proponeva
affatto il problema del miglioramento dei pascoli e dell’industria zootecnica
dell’Agro romano, cioè dell’aumento della rendita di monopolio dei proprie¬
tari e del profitto agrario degli affittuari dell’Agro romano, bensì quello del
risanamento effettivo delle terre, mediante l’« allontamento della pecora »
la cultura intensiva, la colonizzazione permanente, l’abitazione effettiva delle
case coloniche e il miglioramento reale delle condizioni economico-giuridi-
che, morali, sanitarie ed igieniche dei lavoratori dell’Agro redento.
Siffatto programma è assai diverso da quello suggerito o autorizzato dalle
leggi successive, che sembrano piuttosto emanate a favore dei proprietari
dell’Agro allo scopo di indurli ad aumentare la loro produzione e il loro red¬
dito!
Guido Baccelli sperava che la prima esperienza di risanamento tel¬
lurico e di colonizzazione interna mediante la bonifica forzata dell’Agro ro¬
mano, si sarebbe poi esteso, a poco a poco, per analogia giuridica ed economica,
alle altre terre italiane incolte e malariche. Ben possiamo dire, adunque, che
in quel programma baccelliano del 1878 — che il Baccelli tentò di rin¬
verdire quando fu Ministro di Agricoltura — si conteneva già in embrione,
la futura, e fin d’ora reclamatissima, legislazione sulle bonifiche agrarie e
sulla colonizzazione interna, delle terre malariche di tutto il Eegno.
*
* *
Cod Guido Baccelli è, dunque, scomparsa una delle più belle figure
che abbiano mai campeggiato nella vita nazionale della nuova Italia.
Nella sua eminente personalità, la natura aveva, infatti, prodigato i
suoi doni migliori, fondendo in mirabile sintesi la genialità dello scienziato,
il talento dell’artista, il senno del legislatore, la mente di un romano antico e
un grande cuore italiano, dai palpiti generosi, sempre aperto alle più alte
idealità del pensiero e alle più fulgide visioni della stirpe.
Egli fu onore del nostro Paese e avrebbe ben meritato la suprema gioia
di vederne realizzate le più alte fortune, che aveva contribuito così efficace¬
mente a preparare con la magnifica e multiforme operosità della sua luminosa
e feconda esistenza!
Proprietà Letteraria del Giornale « Il Policlinico ».
lioma, 1910 — Tip. Xaz. Bertero.
IL POLICLINICO
PERIODICO DI MEDICINA, CHIRURGIA E IGIENE
FONDATO DAI PROFESSORI
GUIDO BACCELLI FRANCESCO DURANTE
Collaboratori : Cimici, Professori e Dottori italiani c stranieri
si pubblica a Roma in tre Sezioni distinte :
Medica — Chirurgica — Pratica
IL
chirurgia e dell'igiene.
nella sua parte originale (Archivi) pubblica i lavori del
più distinti clinici e cultori delle scienze mediohe, ricca¬
mente illustrati, sicché i lettori vi troveranno il riflesso di
tutta l’attività italiana nel campo della medicina, della
che per sé stessa oostituisoe un periodico
oompleto, contiene lavori originali d'indole
pratioa, note di medicina scientifica,note pre¬
ventive e tiene i lettori al corrente di tutto il
movimento delle scienze mediohe in Italia e all'estero. Pubblioa. perciò numerose e accurate
riviste su ogni ramo delle scienze suddétte, occupandosi soprattutto di ciò ohe riguarda
l'applicazione pratica. Tali riviste sono fatte da valenti specialisti.
.. Pubblioa brevi ma sufficienti relazioni delle sedute di Accademie, Sooietà e Con¬
gressi di Medicina, e di quanto si viene operando nei principali aentri scientifici, speciali
corrispondenze. . \ -
Non trascura di tenere informati i lettori delle sooperte ed applicazioni nuove, dei
rimedi nuovi e nuovi metodi di cura, dei nuovi strumenti, eoe., eoo. Contiene anohe un
ricettario con le migliori e più recenti formolo.
Pubblica articoli e quadri statistici! intorno alla mortalità e alle malattie contagiose
nelle principali oittà d’Italia, e dà notizie esatte sulle condizioni e sull’andamento dei
principali ospedali.
Pubblica le disposizioni sanitarie emanate dal Ministero dell’Interno,"potendo esserne
informato immediatamente, e una scelta e accurata Giurisprudenza riguardante l’eser-
oizio professionale.
Pubblica in una parte speciale tutte le notizie ebe possono interessare il ceto me-
dioo: Promozioni, Nomine, Concorsi, Esami, Condotte vaoanti, ecc.
Tiene corrispondenza con tutti quegli abbonati che si rivolgeranno al Policlinico per
questioni d* interesse scientifico, pratioo e professionale.
. A questo scopo dedica due rubriche spedali e fornisce tutte quelle Informazioni e notizie
che gli verranno richieste.
II DAI in 1 mirti oontiene ogni volta accurate recensioni, bibliografiche, e un indioe
IL I uLIl/LriIvU di bibliografia medica, ool titolo dei libri editi recentemente in Italia
e fuori, e delle monografie contenute nei Bollettini delle Accademie e nei più accreditati
periodici italiani ed esteri.
A questo proposito sllnvltano gli autori a mandare oopla delle opere e delle monografie
da loro pubblicate. N-xèr * 1 : :
I D TDD (071 AVI ADI DAI Ifl IfllPA adunque, per gl’importanti lavori originali,
lift luu ijutilU.il UuL rUblbLlìiILU per le copiose e svariate riviste, per le nu¬
merose rubriche d’interesse pratico e professionale* sono i giornali di medicina e chirurgia
più completi possibili e meglio rispondenti alle esigenze dei tempi moderni.
u
o
ABBONAMENTI ANNUI: Italia
1. Alla sezione medica e alla sezione pratica . . L. 17
2. A Ut sezione chirurgica e alili lesione pratica » 17
3. A Ile tre sezioni insieme........... > 22
4. Allo sola, leiione pratica (settimanale). . . » 12
Unnum.separato della sezione medica o chirurgica Lire UNA
Un num. separato della sezione pratioa cent. 60.
Unione
postale) 0
25
32 \£
17
Il Policlinico si pubblica sei volte
il mese.
La sezione medica e la sezione
chirurgica si pubblicane ciascuna in
fascicoli mensili illustrati di 48 pa¬
gine, ohe in fine d’anno formano ane
distinti volumi, con copertina di 16
pagine.
La sezione pratioa si pubblica
una volta la settimana in fascicoli
di 36 e di 40 pagine con copertina di
20-28 pagine,
Gli abbonamenti cominciano a decorrere dal primo di gennaio di ogni sodo.